È entrato in vigore il nuovo travel ban di Trump

La misura, giustificata con motivazioni di sicurezza nazionale, colpisce soprattutto Stati a maggioranza musulmana e africani. Previste eccezioni per diplomatici e sportivi

È entrato in vigore il nuovo travel ban di Trump

Oggi è entrata in vigore una nuova versione del travel ban negli Stati Uniti, firmata dal presidente Donald Trump. Il decreto presidenziale, pubblicato la settimana scorsa, vieta l’ingresso nel Paese ai cittadini di dodici Stati: Afghanistan, Birmania, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen.

Il provvedimento è stato presentato come una misura volta a “proteggere gli Stati Uniti dai terroristi stranieri e da altre minacce alla sicurezza nazionale”. Nell’atto ufficiale, Trump ha citato l’assenza di “amministrazioni efficaci” nei Paesi elencati, ritenute incapaci di garantire un controllo affidabile dei viaggiatori. L’esecutivo statunitense parlava inoltre della tendenza di alcuni cittadini di questi Stati a rimanere sul suolo americano anche dopo la scadenza del visto.

La Casa Bianca ha giustificato la misura facendo riferimento a un attentato compiuto il 1° giugno nel Colorado da un cittadino egiziano con visto scaduto, durante una marcia in sostegno agli ostaggi israeliani a Gaza. L’attacco ha provocato dodici feriti. “Non permetteremo che ciò che è accaduto in Europa si ripeta in America”, ha dichiarato il presidente, facendo riferimento ad attentati, anche di matrice jihadista, compiuti da stranieri nel continente europeo.

Il decreto include eccezioni: la misura non si applica a chi è in possesso di determinati tipi di visto, ai diplomatici e a coloro il cui ingresso “serve l’interesse nazionale” degli Stati Uniti. Ne saranno esentati, tra gli altri, i calciatori che parteciperanno alla Coppa del mondo del 2026, che si svolgerà tra Stati Uniti, Canada e Messico, così come gli atleti dei Giochi olimpici del 2028 di Los Angeles.

Parallelamente, è stato annunciato che altri sette Paesi sono soggetti a restrizioni nella concessione dei visti: Burundi, Cuba, Laos, Sierra Leone, Togo, Turkmenistan e Venezuela.

La nuova versione del travel ban richiama direttamente quella varata da Trump nel gennaio 2017, all’inizio del suo primo mandato. Allora il divieto aveva colpito sette Paesi a maggioranza musulmana e provocato proteste in diversi aeroporti statunitensi. Anche oggi, quattro Paesi compaiono in entrambe le versioni: Iran, Libia, Sudan e Yemen. Trump ha rivendicato la continuità tra i due provvedimenti, definendo le precedenti restrizioni “efficaci”.

Il nuovo decreto è stato accolto con critiche da parte di organizzazioni internazionali e della società civile. Il commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha espresso “preoccupazione rispetto al diritto internazionale”, criticando la “portata molto ampia e generale” della misura. Amnesty International ha condannato l’iniziativa come “discriminatoria, razzista e assolutamente crudele”.

Anche l’Unione Africana ha reagito, sottolineando il “potenziale impatto negativo” del travel ban, non solo sui cittadini colpiti ma anche sulle relazioni diplomatiche con gli Stati coinvolti. Il Ciad, uno dei Paesi colpiti, ha annunciato per ritorsione la sospensione del rilascio dei visti ai cittadini statunitensi.

La decisione arriva in un contesto di rafforzamento delle politiche anti-immigrazione da parte dell’amministrazione Trump, che negli ultimi mesi ha già firmato oltre 140 decreti in materia migratoria. La Casa Bianca ha giustificato l’estensione della lista dei Paesi colpiti anche con la volontà di esercitare pressione politica su governi ritenuti inadempienti o problematici per gli interessi statunitensi.

La scelta di inserire Haiti tra i Paesi vietati ha suscitato particolare attenzione, vista la forte presenza della diaspora haitiana negli Stati Uniti. Il divieto potrebbe avere impatti significativi su famiglie divise e sulla mobilità di studenti e lavoratori. Anche la presenza dell’Eritrea e della Guinea Equatoriale, regimi autoritari ma finora non centrali nel discorso pubblico americano, suggerisce un ampliamento del raggio delle restrizioni oltre i casi più consueti di “minaccia islamista”.

L’entrata in vigore del decreto alle 6:01 del mattino (ora di Roma) di lunedì 9 giugno è stata comunicata ufficialmente dalla Casa Bianca.

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