Dove sono i soldati americani in Medio Oriente e cosa rischiano

Il Pentagono mantiene basi permanenti e avamposti in almeno otto Paesi. Un’eventuale partecipazione americana ai raid contro l’Iran renderebbe i militari vulnerabili a ritorsioni dirette

Dove sono i soldati americani in Medio Oriente e cosa rischiano
Al Udeid Air Base il 15 maggio 2025 / White House

Oltre 40.000 tra soldati e civili americani al servizio del Pentagono sono attualmente dispiegati in Medio Oriente. Le loro postazioni si estendono tra grandi basi permanenti e installazioni operative in almeno una decina di Paesi. L’infrastruttura è stata consolidata nel tempo per rispondere a esigenze belliche e strategiche, ma oggi si trova potenzialmente esposta a una ritorsione diretta da parte dell’Iran, dopo che il presidente Trump ha deciso di unirsi a Israele negli attacchi contro il programma nucleare iraniano.

Secondo il Congressional Research Service, le truppe statunitensi sono presenti in larga misura in Kuwait, Qatar, Iraq, Bahrain e negli Emirati Arabi Uniti. Altri contingenti, in numero inferiore ma comunque significativi, si trovano anche in Giordania, Siria e Oman. Le cifre sono approssimative e soggette a variazioni.

Il Qatar ospita la più grande base americana nella regione. Al Udeid Air Base, sede del comando centrale delle forze statunitensi (U.S. Central Command), accoglie circa 10.000 soldati. La base è stata usata fin dal 2001 per operazioni in Afghanistan, Iraq e Siria, e nel 2021 ha svolto un ruolo centrale nell’evacuazione di decine di migliaia di persone da Kabul.

In Kuwait, circa 13.500 soldati sono dislocati in cinque installazioni militari che fungono da hub logistico per l’intera area. Il legame strategico tra i due Paesi risale alla guerra del Golfo del 1991 e si è mantenuto saldo anche dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003, lanciata proprio da queste basi.

L’Iraq ospita circa 2.500 soldati e contractor americani. Operano a Baghdad, nel Kurdistan iracheno e nel deserto occidentale, dove si trova la base Al Asad, colpita da droni iraniani nei giorni scorsi. Dopo il ritiro del 2011, i soldati USA sono tornati nel Paese per contrastare lo Stato Islamico. Il territorio rimane però pericoloso, anche a causa delle milizie sciite legate all’Iran. Secondo l’analista Adel Abdel Ghafar, l’Iraq sarebbe uno dei primi bersagli in caso di ritorsione iraniana.

A Bahrain, circa 9.000 tra militari e civili lavorano nella sede della Fifth Fleet della Marina USA, a Manama. Il compito della flotta è assicurare la libera navigazione nello Stretto di Hormuz, da cui transita il 20% del petrolio mondiale. L’Iran ha minacciato di disseminare fino a 6.000 mine navali nello stretto, strategia che mirerebbe a immobilizzare la flotta americana e a ostacolare il commercio di petrolio, soprattutto per Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Cina e India.

Negli Emirati Arabi Uniti, 3.500 soldati operano presso la base di Al Dhafra, vicino ad Abu Dhabi. Qui sono schierati anche caccia F-22, usati per proteggere petroliere emiratine colpite dai ribelli Houthi nel 2022. La base ospita il 380th Air Expeditionary Wing, che ha svolto missioni in Afghanistan e contro l’ISIS e ha funzioni di intelligence, sorveglianza e rifornimento aereo.

Contingenti statunitensi più ridotti sono presenti anche in Giordania, Siria e Oman, sebbene l’amministrazione Trump abbia avviato un ridimensionamento della presenza americana in alcune di queste aree.

Congressional Research Service

Secondo l’ex funzionaria del Pentagono Dana Stroul, le forze USA hanno negli anni rafforzato le difese regionali, in particolare dopo gli attacchi di Hamas a Israele nell’ottobre 2023, che hanno innescato una più ampia escalation tra Israele e gli alleati dell’Iran. Tuttavia, Stroul avverte che “il punto di svolta sarà determinato dalle decisioni che gli Stati Uniti prenderanno nei prossimi giorni riguardo a un’eventuale partecipazione alle operazioni offensive israeliane.”

Il rischio per le truppe americane è concreto e immediato. Come sottolineato da Abdel Ghafar, un missile balistico lanciato dall’Iran potrebbe raggiungere le basi nel Golfo in tre o quattro minuti, un tempo troppo breve per consentire un’intercettazione efficace da parte delle difese aeree. Inoltre, le milizie alleate di Teheran rappresentano una minaccia di terra per le installazioni militari e diplomatiche statunitensi.

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