Dopo 40 giorni otto Dem cedono e votano con i repubblicani per riaprire il governo
Otto senatori democratici hanno rotto l'unità del partito votando con i repubblicani per avanzare un accordo che pone fine al più lungo shutdown della storia americana. L'intesa non include l'estensione dei sussidi sanitari richiesta dai democratici, ma solo la promessa di un voto a dicembre.
Nel corso della notte tra il 9 e il 10 novembre il Senato americano ha compiuto il primo passo concreto verso la fine dello shutdown più lungo della storia degli Stati Uniti. Otto senatori democratici hanno votato con i repubblicani, raggiungendo i 60 voti necessari per avanzare un accordo bipartisan che potrebbe riaprire il governo federale dopo 40 giorni di paralisi.
Il voto finale è stato 60 a 40. I democratici Dick Durbin, Catherine Cortez Masto, John Fetterman, Maggie Hassan, Jeanne Shaheen, Tim Kaine, Jacky Rosen e l'indipendente Angus King hanno rotto con il resto del loro partito per sostenere l'intesa. L'unico repubblicano a votare contro è stato Rand Paul del Kentucky.
L'accordo finanzia il governo fino al 30 gennaio 2026 e include tre leggi di bilancio complete per alcuni dipartimenti come l'Agricoltura. Garantisce inoltre il finanziamento completo del programma SNAP di assistenza alimentare fino a settembre 2026, questione diventata critica dopo che la Corte Suprema aveva sospeso un ordine di un tribunale che obbligava l'amministrazione Trump a erogare questi fondi. Il programma aiuta 42 milioni di americani.
L'intesa prevede anche il reintegro dei dipendenti federali licenziati durante lo shutdown e blocca ulteriori licenziamenti di massa fino al 30 gennaio. I lavoratori federali riceveranno gli stipendi arretrati, come previsto dalla legge. Questa clausola è stata negoziata in particolare dal senatore Tim Kaine della Virginia, stato che ospita circa 150mila dipendenti federali.
Il punto più controverso è ciò che l'accordo non contiene. I democratici avevano posto come condizione irrinunciabile l'estensione dei sussidi fiscali previsti dall'Affordable Care Act (la riforma sanitaria di Obama), che scadranno a fine anno. Senza un rinnovo, milioni di americani a basso reddito vedranno aumentare drasticamente i premi delle loro assicurazioni sanitarie.
I senatori democratici che hanno negoziato l'accordo sono riusciti solo a ottenere la promessa di un voto al Senato su questa questione entro la seconda settimana di dicembre. Non c'è alcuna garanzia che il provvedimento verrà approvato, dato che i repubblicani controllano entrambe le camere del Congresso e il presidente Trump si è ripetutamente opposto a questa estensione.
La senatrice Jeanne Shaheen del New Hampshire, una delle negoziatrici dell'accordo, ha difeso la scelta: "Questo era l'unico accordo sul tavolo. Aspettare un'altra settimana o un altro mese non avrebbe portato a un risultato migliore". Il senatore Angus King del Maine ha aggiunto che c'era "zero possibilità di affrontare la questione sanitaria finché lo shutdown continuava".
La decisione di questi otto senatori ha messo in mostra profonde divisioni nel partito democratico. Il leader della minoranza al Senato, Chuck Schumer, ha votato contro l'accordo, dichiarando dal Senato che "gli americani si ricorderanno dell'intransigenza repubblicana ogni volta che pagheranno somme enormi per la loro assicurazione sanitaria".
Anche il leader democratico alla Camera, Hakeem Jeffries, ha annunciato la sua opposizione: "Non sosterremo una legge di bilancio promossa dai repubblicani del Senato che non estende i crediti fiscali dell'Affordable Care Act".
Il deputato Ro Khanna della California è arrivato a chiedere la sostituzione di Schumer: "Se non riesci a guidare la battaglia per impedire che i premi sanitari degli americani salgano alle stelle, per cosa lotterai?".
Tutti i senatori democratici in corsa per la rielezione nel 2026 hanno votato contro l'accordo. Gli otto che hanno votato a favore includono due senatori in pensionamento (Durbin e Shaheen), tre che non dovranno affrontare gli elettori fino al 2028 e tre che non si ricandideranno fino al 2030.
La pressione per chiudere l'accordo è aumentata nelle ultime settimane man mano che le conseguenze dello shutdown diventavano più gravi. Centinaia di migliaia di dipendenti federali lavorano da 40 giorni senza ricevere stipendio. I programmi di assistenza alimentare rischiavano di rimanere senza fondi.
Nel weekend la situazione è precipitata con la riduzione del traffico aereo. La Federal Aviation Administration ha ordinato alle compagnie di ridurre progressivamente i voli interni a causa dell'assenza di numerosi controllori di volo non pagati. Domenica sono stati cancellati oltre 2.700 voli negli Stati Uniti, con altri 10mila ritardati. Tra gli aeroporti più colpiti: Newark e LaGuardia a New York, O'Hare a Chicago e Hartsfield-Jackson ad Atlanta.
Il segretario ai Trasporti, Sean Duffy, aveva avvertito che con il proseguire dello shutdown il traffico aereo si sarebbe "ridotto a un rivolo" in vista del Ringraziamento di fine novembre, quando milioni di americani viaggiano per vedere le loro famiglie.
L'amministrazione Trump ha gestito lo shutdown in modo selettivo, trovando soluzioni legalmente discutibili per garantire gli stipendi dei militari (mai nella storia americana i soldati erano rimasti senza paga durante uno shutdown), ma mostrando meno urgenza per i buoni alimentari destinati ai più poveri.
L'accordo deve ancora superare diversi ostacoli. Qualsiasi senatore può ritardare il processo di diversi giorni, e alcuni senatori progressisti hanno già fatto sapere che non faciliteranno l'iter. Poi il testo dovrà essere approvato dalla Camera dei Rappresentanti, che è in pausa dal 19 settembre e non ha ancora fissato una data di ritorno. Solo dopo potrà arrivare sulla scrivania del presidente Trump per la firma.
Trump, che domenica sera stava assistendo a una partita di football nel Maryland, ha dichiarato ai giornalisti al suo rientro alla Casa Bianca: "Sembra che ci stiamo avvicinando alla fine dello shutdown". Il leader della maggioranza al Senato, John Thune, ha confermato che la Casa Bianca ha dato il suo consenso all'accordo.
La battaglia politica, però, è tutt'altro che finita. I democratici hanno già annunciato che useranno la questione sanitaria come arma nelle elezioni di metà mandato del 2026. E i repubblicani dovranno affrontare il voto promesso sui sussidi sanitari a dicembre, con il rischio di alienarsi parte del loro elettorato se votano contro, dato che molti elettori di Trump beneficiano di questi aiuti.