Donald Trump e il rischio di una presidenza imperiale negli Stati Uniti

Nei primi cento giorni del secondo mandato, il presidente Trump ha accentuato il controllo sui poteri federali, mettendo in discussione l’equilibrio istituzionale sancito dai Padri fondatori.

Donald Trump e il rischio di una presidenza imperiale negli Stati Uniti

L'impopolarità crescente di Donald Trump, a cento giorni dall'inizio del suo secondo mandato, non riguarda solo i temi centrali della sua campagna elettorale, come l'immigrazione e l'economia, ma anche il suo stile di governo aggressivo. Secondo un sondaggio pubblicato dal Washington Post il 27 aprile, il 64% degli intervistati ritiene che il presidente "vada troppo oltre" nell'espansione del potere presidenziale.

Fin dall'inizio del nuovo mandato, Trump ha dato il via a una ridefinizione dell'equilibrio dei poteri negli Stati Uniti, attraverso una serie di decreti presidenziali che hanno hanno portato a ricorsi in tribunale. Alcuni di questi decreti, come quello che mette in discussione il diritto di cittadinanza per nascita, sfidano apertamente la Costituzione.

Questa strategia si inserisce nella concezione che Trump ha del ruolo presidenziale, riassunta dalla sua dichiarazione del 2019: "Ho un articolo 2 che mi dà il diritto di fare quello che voglio come presidente." In un'intervista a Time del 25 aprile, Trump ha ribadito che sta semplicemente utilizzando il potere presidenziale "come dovrebbe essere usato".

Una parte della destra conservatrice sostiene che il rafforzamento del potere presidenziale sarà avallato dalla Corte suprema, ora composta da sei giudici conservatori su nove. Tuttavia, l'ampiezza di questo rafforzamento e il rischio di un cesarismo restano incerti. La Federalist Society, influente organizzazione giuridica conservatrice, e la Heritage Foundation, tramite il Progetto 2025, sostengono una visione "originalista" della Costituzione. Questo progetto, che ispira l'agenda politica di Trump, mira a piegare la burocrazia federale alla volontà presidenziale, ritenendola un ostacolo all'autorità democratica.

Gli oppositori, invece, ricordano che i Padri fondatori, ispirati da Locke e Montesquieu, crearono un sistema basato su "freni e contrappesi" per prevenire l'abuso di potere. Fondamentale in questo sistema è la separazione dei poteri, sancita fin dal celebre caso Marbury vs Madison del 1803.

La teoria del "potere esecutivo unitario", già difesa dall'ex giudice della Corte Suprema Antonin Scalia nel 1988, è oggi centrale nella ridefinizione voluta da Trump. Secondo questa teoria, tutti i poteri esecutivi devono essere sotto il diretto controllo del presidente, senza i limiti introdotti dalle riforme post-Watergate che avevano istituito organi di controllo indipendenti.

In questo contesto si inserisce il vasto licenziamento di ispettori generali deciso da Trump subito dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, senza rispettare le procedure previste. Il presidente ha inoltre avviato una riorganizzazione delle agenzie federali, puntando a esercitare un controllo assoluto sulle nomine e sui licenziamenti, andando oltre il tradizionale spoils system.

La revisione dell'equilibrio dei poteri coinvolge anche la gestione dei fondi federali. Trump ha rilanciato la pratica dell'impoundment, bloccando l'erogazione di fondi votati dal Congresso, come i 40 miliardi di dollari destinati all'agenzia Usaid. Questa tattica era stata già usata da Richard Nixon e limitata con una legge del 1974.

Il controllo delle agenzie indipendenti si scontra tuttavia con la sentenza Humphrey’s Executor vs United States del 1935, che aveva stabilito restrizioni al licenziamento dei dirigenti di tali agenzie. Tuttavia, l'attuale Corte suprema, con una maggioranza conservatrice, ha già mostrato di non considerarsi vincolata dai precedenti, come dimostrato dall'abolizione della sentenza Roe vs Wade nel 2022.

Nel 2020, nella causa Seila Law LLC vs Consumer Financial Protection Bureau, la Corte ha ulteriormente rafforzato il potere presidenziale, affermando che il presidente ha piena autorità sulle agenzie con direzione monocratica.

Il rischio di una "presidenza imperiale" si rafforza anche a causa della debolezza del Congresso, paralizzato dalla polarizzazione politica e subordinato a Trump. L'unico argine effettivo rimane il potere giudiziario, che, come ricordava Alexander Hamilton, è il più debole dei tre poteri poiché dipende dal potere esecutivo per l'attuazione delle sue decisioni.

Questo argine potrebbe essere ancora più debole in quanto la maggioranza conservatrice alla Corte suprema sembra incline a sostenere la "teoria unitaria". La concessione di una larga immunità presidenziale per gli atti compiuti durante il mandato, ottenuta nel 2024, accentua ulteriormente il rischio di abuso di potere. La giudice Sonia Sotomayor aveva criticato questa evoluzione, affermando che il presidente è ormai diventato "un re al di sopra delle leggi".

Il Progetto 2025 prevede paradossalmente che l'accentramento del potere sia solo una fase transitoria verso una maggiore decentralizzazione a favore delle comunità locali, delle famiglie e della società civile. Tuttavia, la realtà attuale vede Donald Trump determinato a esercitare un potere presidenziale quasi assoluto, ispirandosi più a modelli autoritari che ai principi della democrazia costituzionale.

Il destino dell'equilibrio istituzionale americano si gioca quindi, in larga parte, nella capacità della Corte suprema di contenere o assecondare le ambizioni di una presidenza che si presenta come la più autoritaria della storia recente degli Stati Uniti.

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