Dem in crisi dopo la sconfitta: sei mesi di smarrimento
Il partito registra un crollo storico nei consensi dopo la vittoria elettorale di Trump: sfiducia anche tra gli elettori progressisti, perdita di consensi tra giovani, neri e latinos, e una base sempre più frammentata

A sei mesi dalla vittoria elettorale del presidente Donald Trump, il Partito Democratico si trova immerso in una fase di profonda crisi identitaria e strategica. La sconfitta subita nel 2024 ha avuto l'effetto di una vera e propria frattura culturale, spingendo non solo repubblicani e indipendenti, ma anche un'ampia fetta dell'elettorato democratico a prendere le distanze da un partito percepito come debole, distante e incapace di reagire.
Secondo un sondaggio NBC News, l'indice di approvazione dei Democratici è crollato al 27%, il dato più basso mai registrato dal 1990. Si tratta di una caduta di fiducia che va oltre la normale alternanza politica: coinvolge elettori che da generazioni costituivano la spina dorsale del partito, come giovani, afroamericani e latinos, molti dei quali si sono spostati verso destra in modo netto.
A descrivere la situazione è anche Anat Shenker-Osorio, ricercatrice e consulente per il partito, che ha condotto circa 250 focus group con elettori indecisi. Secondo la sua analisi, i Repubblicani vengono associati ad "animali predatori" — leoni, tigri, squali — simboli di forza e determinazione, mentre i Democratici vengono percepiti come "lenti e passivi", paragonati a tartarughe, lumache o bradipi. Una partecipante georgiana ha sintetizzato lo stato d'animo del partito con un'immagine ancora più tagliente: "un cervo accecato dai fari", immobile davanti all'impatto imminente.
La vittoria di Trump nel 2024, a differenza di quella del 2016, non può essere archiviata come un'anomalia. Per la prima volta il candidato repubblicano ha vinto anche il voto popolare, e in alcuni casi ha ottenuto risultati simili a quelli della candidata democratica in Stati considerati sicuri per il partito. In Arizona, ad esempio, Trump ha ottenuto il 52,2% dei voti, una percentuale quasi identica a quella con cui Kamala Harris ha vinto in New Jersey (52%).
Questo spostamento non è il frutto di una singola elezione. Da anni i Repubblicani guadagnano terreno nelle registrazioni elettorali, conquistando consensi tra i lavoratori di ogni etnia. Al contempo, i Democratici vengono sempre più percepiti come il partito delle élite universitarie, distante dai problemi quotidiani della classe media e popolare.
Rob Flaherty, ex vice manager della campagna di Kamala Harris, ha ammesso che "per troppo tempo il nostro partito ha consumato il credito di fiducia che aveva con il popolo americano". Anche il deputato Jason Crow, incaricato di reclutare candidati per le elezioni del 2026, ha espresso preoccupazione per la perdita di contatto con gli elettori del Midwest e delle aree rurali. "Non c’è ragione per cui queste persone non debbano più votare per noi", ha dichiarato. "Le abbiamo semplicemente allontanate."
Un altro segnale d’allarme arriva dal genere maschile. Storicamente, il divario di genere favoriva i Democratici. Ma nel 2024, un’ulteriore radicalizzazione del voto maschile a destra ha finito per avvantaggiare i Repubblicani anche su questo fronte.
Il partito è ora alle prese con un intenso processo di revisione. Dirigenti, attivisti e finanziatori stanno cercando nuovi approcci comunicativi per ricostruire una relazione con l’elettorato. Iniziative come il progetto SAM (acronimo di Speaking with American Men: A Strategic Plan), con un budget di 20 milioni di dollari, puntano a riconquistare il consenso dei giovani uomini attraverso analisi del linguaggio virale online e investimenti pubblicitari mirati, anche all’interno dei videogiochi. La raccomandazione centrale del progetto è chiara: “Dobbiamo smettere di usare un tono moralizzante”.
Nel frattempo, si moltiplicano le tensioni ideologiche interne. Nel partito si discute se adottare una linea più dura sull’immigrazione, moderare la difesa dei diritti delle persone transgender, oppure abbracciare un populismo economico più marcato. La crescente distanza tra le generazioni e le diverse correnti ideologiche ha già portato a un aumento delle sfide alle primarie in vista del 2026.
Dal punto di vista strutturale, i Democratici affrontano ostacoli importanti. La mappa del Senato favorisce il campo repubblicano, mentre il Collegio Elettorale penalizza i Democratici a causa dello spostamento demografico dalla costa est e dagli Stati blu verso Stati rossi in crescita. Secondo Jaime Harrison, dimessosi a febbraio dalla guida del Democratic National Committee, il partito deve trovare il modo di competere anche negli Stati dove oggi è assente.
Anche i sondaggi più recenti suggeriscono che, nonostante la perdita di popolarità di Trump dall’elezione, il marchio Democratico resta poco attraente in vaste aree del paese. Zac McCrary, sondaggista del partito, ha avvertito che un eventuale successo alle elezioni di metà mandato nel 2026 non deve trarre in inganno. "Le elezioni del 2022 hanno nascosto il problema-Biden", ha dichiarato, alludendo all’età dell’ex presidente. "Un buon risultato nel 2026 potrebbe nascondere problemi più profondi."
L’analista Shenker-Osorio, infine, sottolinea che gli elettori democratici non vogliono introspezione, ma azione. "Gli elettori vogliono che qualcuno combatta davvero per loro, o che almeno venga colto nel tentativo di farlo", ha affermato. "Il partito si guarda troppo l’ombelico e agisce troppo poco."