Crypto week bloccata al Congresso
Il presidente spinge per fare degli Stati Uniti la capitale mondiale del settore, ma tredici deputati conservatori bloccano l’iter legislativo sostenendo i democratici
La cosiddetta crypto week promossa dal presidente Donald Trump al Congresso degli Stati Uniti ha subito una brusca battuta d’arresto martedì 15 luglio, a causa di profonde divisioni interne al Partito repubblicano. Tredici deputati conservatori si sono infatti uniti ai democratici per affossare un voto procedurale fondamentale, impedendo l’avanzamento di tre testi legislativi destinati a riformare profondamente il settore delle criptovalute. Si tratta di un colpo non solo all’industria dei crypto asset, ma anche alla strategia politica del presidente, che aveva fatto della leadership tecnologica in questo ambito una delle sue promesse elettorali chiave.
La campagna era stata lanciata dallo stesso Trump, che aveva esortato i parlamentari a sostenere l’iniziativa per trasformare gli Stati Uniti nella “capitale mondiale del crypto”. Tuttavia, l’unità mostrata dal Partito repubblicano il 4 luglio, quando fu approvata la One Big Beautiful Bill, non si è replicata nel campo delle criptovalute. Il voto negativo, sostenuto da membri del Freedom Caucus – la frangia più radicale del GOP – ha fatto fallire l’apertura dei lavori legislativi, lasciando incompiuta quella che sarebbe dovuta essere la prima grande riforma normativa sul tema.
Alla guida dell’iniziativa c’era il presidente della commissione delle finanze della Camera, il repubblicano French Hill, che aveva inserito tre progetti di legge all’ordine del giorno: un pacchetto completo che spaziava dai pagamenti digitali agli investimenti, e che aveva alimentato grandi aspettative tra gli investitori. Il 14 luglio, alla vigilia del voto, il bitcoin aveva infatti toccato un nuovo massimo storico, superando i 120.000 dollari (circa 103.000 euro). Dall’inizio dell’anno, la principale criptovaluta aveva registrato un incremento di oltre il 20% rispetto al dollaro statunitense.
Il primo testo, denominato Genius Act, mira a disciplinare i stablecoin, ovvero le criptovalute ancorate a valute fiat o titoli di Stato. Il provvedimento prevede l’obbligo di una copertura in dollari al 100% e l’obbligo di registrazione per gli enti emittenti. Approvato già al Senato il 17 giugno con il sostegno di diciotto senatori democratici, il disegno di legge era considerato pronto per la firma presidenziale. Trump aveva rilanciato il testo sul suo social network il giorno stesso del voto, definendolo essenziale per mantenere il primato tecnologico americano su Cina ed Europa. In un messaggio in lettere maiuscole aveva ordinato: “Tutti i repubblicani devono votare sì.” Ma l’appello non è bastato.
Il secondo testo, il Clarity Act, rappresenta il nodo politico più controverso. Questo progetto di legge propone di classificare le criptovalute come materie prime, escludendole così dalla giurisdizione della Securities and Exchange Commission (SEC), ritenuta troppo rigida dagli operatori del settore. Il terzo testo in discussione intende invece impedire alla Federal Reserve e ad altre istituzioni monetarie statunitensi di creare una propria valuta digitale, prendendo posizione netta contro le valute digitali di banca centrale.
Il presidente della Camera, Mike Johnson, anch’egli repubblicano, ha promesso di ripresentare presto i tre progetti, aprendo una trattativa con l’ala interna contraria. Questa, infatti, chiede un voto congiunto su tutte le proposte, temendo che il Clarity Act, il più ambizioso, possa essere respinto dal Senato se votato separatamente.
Anche l’opposizione democratica ha assunto una posizione critica. Sebbene nel 2024 ben 71 deputati democratici avessero appoggiato un testo simile, oggi la situazione politica è mutata radicalmente. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha reso i democratici riluttanti a sostenere una riforma che rischia di rafforzare e legittimare un settore che ha già prodotto miliardi di dollari di profitti per la famiglia Trump. La capogruppo democratica alla commissione finanze, la deputata Maxine Waters della California, ha dichiarato che non appoggeranno alcuna proposta che non includa clausole etiche vincolanti riguardanti i conflitti di interessi del presidente e delle sue attività imprenditoriali.