Cosa dice il nuovo libro di Kamala Harris

L'ex vicepresidente pubblica le sue memorie della campagna elettorale del 2024. Accuse ai collaboratori di Biden e critiche ai media, ma poche idee su come vincere in futuro

Cosa dice il nuovo libro di Kamala Harris
White House

Kamala Harris ha pubblicato le sue memorie della campagna presidenziale del 2024. Il libro si intitola "107 Days", come i giorni che ebbe a disposizione dopo aver ereditato la candidatura da Joe Biden. Secondo Harris, la sconfitta contro Donald Trump è dovuta a una serie di errori commessi negli anni, principalmente da altre persone.

L'ex vicepresidente racconta nel dettaglio i rapporti tesi con l'entourage del presidente uscente e le difficoltà nel gestire temi delicati come l'immigrazione e i diritti delle persone transgender. Pur criticando molte decisioni dell'amministrazione Biden, Harris riconosce i propri limiti e ammette di non avere una ricetta per far vincere i democratici in futuro.

Biden descritto come "fragile" e amareggiato

Nel libro, Harris dipinge Biden come una figura "fragile" e amareggiata, l'emblema di un presidente ormai in declino. Il passaggio più discusso riguarda una conversazione in cui Biden le disse che il suo disastroso dibattito televisivo contro Trump non aveva in realtà danneggiato i suoi sondaggi. Questo avvenne poco prima che Harris dovesse affrontare Trump nel dibattito di Philadelphia.

Harris scrive di essere riuscita bene nei momenti pianificati della campagna, come il dibattito e la convention democratica. Ma ammette di aver avuto difficoltà quando doveva improvvisare.

L'ex vicepresidente racconta un episodio in cui, dopo un'intervista con il podcaster sanitario Dr. Mike, chiese irritata ai suoi collaboratori: "Che cazzo è stato quello?". Il problema era che lo staff le aveva organizzato una lunga intervista dopo averla preparata solo per una breve.

Harris si sofferma anche su due episodi con i manifestanti durante la campagna. Nel primo caso disse agli attivisti pro-Gaza che se avessero ritirato i loro voti avrebbero ottenuto Trump. Nel secondo cacciò degli attivisti di destra che sostenevano di gridare solo il nome di Gesù. In entrambi i casi, scrive Harris, vinse il confronto diretto ma perse la battaglia mediatica successiva.

"La democrazia è complicata", scrive Harris nel libro. "È anche facilmente compromessa da pregiudizi palesi, bugie evidenti e le organizzazioni mediatiche che le permettono."

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Le accuse ai collaboratori di Biden

Harris accusa direttamente i collaboratori di Biden di averla danneggiata. Secondo l'ex vicepresidente, fu un errore di Biden disinvitare Elon Musk da un summit alla Casa Bianca sui veicoli elettrici, trasformandolo in un nemico. Harris scrive di aver "condiviso questa opinione" con lo staff di Biden.

Considera anche un errore la decisione di Biden di ricandidarsi, anche se ammette di aver tenuto questa opinione più riservata.

Harris riconosce però che fu un suo errore rimanere troppo leale a Biden. Cita come esempio la sua apparizione al programma televisivo The View, dove alla domanda su cosa avrebbe fatto diversamente da Biden rispose: "Non mi viene in mente nulla". Una risposta che, ammette, danneggiò la sua campagna.

"Anche dopo la mancanza di supporto dalla Casa Bianca, la telefonata della notte del dibattito e il disastro del cappello MAGA, sentivo di dovergli la mia lealtà", scrive Harris riferendosi a Biden.

L'ex vicepresidente accusa gli "anonimi aiutanti di Biden" di aver diffuso informazioni che non la aiutavano perché "non volevano che brillasse". A causa di questo, sostiene, non riuscì a vincere il dibattito pubblico sull'immigrazione né a spiegare come la sua amministrazione avrebbe risolto il problema.

"Tutto quello che potevo fare era mostrare che avevamo preso misure che funzionavano, e che prendevo sul serio la questione e avrei continuato a spingere per le riforme complete di cui avevamo bisogno", scrive.

La difficoltà sui diritti transgender

Harris dedica quattro pagine del libro agli spot pubblicitari di Trump che la dipingevano come sostenitrice delle persone transgender con lo slogan "lei è per loro". Questi annunci, scrive Harris, rivelarono quanto i democratici fossero impreparati a difendere i diritti transgender durante una campagna elettorale.

L'ex vicepresidente ammette di non sapere ancora come affrontare questo tema. Racconta di aver difeso la copertura degli interventi chirurgici per il cambio di sesso per i detenuti perché "era la legge", quella politica riguardava "pochissime persone" e aveva "esagerato" nella sua campagna presidenziale del 2020 quando fu attaccata per non averla sostenuta.

Nel 2025, Harris credeva che le scuole potessero "tenere conto di fattori biologici come la massa muscolare e il vantaggio atletico ingiusto" negli sport. Ma respinge l'idea che gli spot di Trump abbiano rovinato la sua campagna, definendola "la saggezza convenzionale di uomini di mezza età che non vivono negli stati in bilico".

Harris scrive di non pentirsi "della decisione di seguire i miei istinti protettivi" verso le persone transgender. "Vorrei aver potuto far passare il messaggio che non c'è distinzione tra 'loro' e 'voi'", aggiunge. "Il pronome che conta è 'noi'. Noi il popolo."

I rapporti difficili con i media

Harris si descrive come una candidata "avversa al rischio", frustrata dal modo in cui Trump dominava l'ambiente mediatico e controllava la narrativa della campagna. Denuncia quello che definisce un "doppio standard sul nostro stile di presentazione", con le sue risposte spesso derise come "insalata di parole".

Secondo Harris, le sue interviste potevano andare meglio, ma il problema era spesso che "le domande erano poco serie, basate su qualsiasi cosa Trump avesse suscitato nei suoi comizi".

L'ex vicepresidente racconta di essersi irritata durante il dibattito tra candidati vicepresidenti quando Tim Walz iniziò ad "annuire e sorridere al finto bipartitismo di J.D. [Vance]".

Harris prova invece soddisfazione quando ricorda l'entusiasmo delle sue prime folle come sostituta di Biden: "I miei eventi universitari erano stati tutto esaurito, lo stesso con i miei comizi per i diritti riproduttivi".

Ma ammette di non essere riuscita a "generare la stessa energia, o fiducia, su altre questioni progressiste".

Le proposte economiche

Harris non menziona mai nel libro una sua proposta contro il carovita che fu criticata duramente da alcuni economisti liberali. Quando immagina come sarebbe cambiato il paese se avesse vinto, si limita a pensare a giovani che "fanno domanda per la loro assistenza di 25.000 dollari per l'acconto della casa" e a "un credito d'imposta per i figli aumentato" che avrebbe "sollevato migliaia di famiglie in più dalla povertà".

Harris si lamenta del fatto che Trump riuscì a lanciare una proposta virale come "niente tasse sulle mance" mentre lei "armeggiava con una più completa".

La mancanza di visione

Il giornalista di Semafor David Weigel paragona il libro di Harris a "What Happened" di Hillary Clinton, sostenendo che Clinton almeno spiegava come una campagna più fortunata avrebbe potuto battere Trump. Harris invece, secondo il giornalista, non offre soluzioni.

"I democratici costruirono una campagna cauta, con politiche che potevano permettersi di pagare, partendo dal presupposto che la maggior parte degli elettori non voleva un cambiamento veramente radicale su immigrazione e dazi", scrive Weigel. "Invece li voleva. Biden, e poi Harris, scommisero che il paese sarebbe stato respinto da almeno una delle decisioni o dei tratti caratteriali di Trump. Non lo fu".

Secondo Weigel, Harris appare "intrappolata tra le aspettative del primo mandato di Trump, quando i progressisti lo vedevano come un presidente accidentale, e l'esperienza della sua campagna elettorale del 2024: che il paese è più conservatore di quanto pensassero i democratici".

Il libro manca di "idee sul paese o su come venderle" e Harris "non sa come fermare" il movimento conservatore di Trump, conclude Weigel.

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