Con Trump alla guida, l’economia rallenta
Dopo sei mesi alla Casa Bianca, Donald Trump affronta un’economia in rallentamento. I dazi, il piano fiscale e la ristrutturazione del commercio cominciano a mostrare i primi effetti, tra delusioni occupazionali e aumento dei prezzi.

L’economia americana è ormai chiaramente nelle mani del presidente Donald Trump, ma i segnali che arrivano dagli ultimi dati sono meno positivi di quanto promesso: la crescita si è indebolita, l’inflazione è in aumento e il mercato del lavoro perde slancio.
A oltre sei mesi dal suo insediamento, Trump ha impresso un’accelerazione alle sue politiche economiche: nuovi dazi, una riforma fiscale di ampia portata, tagli alla spesa e una ristrutturazione dei rapporti commerciali. Ha trasformato il sistema a sua immagine, pronto a prendersi il merito di ogni successo e a scaricare le colpe di ogni difficoltà. Ma con il passare del tempo, diventa sempre più difficile attribuire le responsabilità al suo predecessore, Joe Biden. Oggi l’economia americana risponde direttamente alle scelte della Casa Bianca, e i mercati osservano da vicino ogni dichiarazione, anche informale, del presidente.
La pubblicazione del rapporto mensile sull’occupazione ha segnato un punto di svolta. I numeri sono stati peggiori del previsto e il presidente ha reagito licenziando il responsabile dell’agenzia statistica che produce quei dati. Senza fornire alcuna prova, ha sostenuto che le cifre sono state manipolate per fini politici e ha scritto su Truth Social che “l’economia sta ESPLODENDO”. La Casa Bianca continua a sostenere che si tratta di una fase transitoria, legata agli effetti iniziali delle riforme, e promette che i benefici arriveranno con il tempo. Ma la promessa di una nuova età dell’oro economica, per ora, non si è concretizzata.
La strategia economica adottata da Trump comporta un rischio politico elevato. I nuovi dazi avranno un impatto più evidente nei prossimi mesi, proprio mentre gli alleati del presidente si preparano ad affrontare le elezioni di medio termine. Il governo ha negoziato accordi bilaterali con l’Unione Europea, il Giappone, la Corea del Sud, le Filippine, l’Indonesia e altri Paesi, che hanno accettato aumenti delle tariffe sulle proprie esportazioni senza imporre contromisure agli Stati Uniti. Per gli altri Paesi, invece, Trump ha deciso unilateralmente di alzare le tariffe. I costi maggiori di queste misure ricadranno sui consumatori americani, anche se l’ampiezza dell’impatto non è ancora chiara. Secondo osservatori vicini alla Casa Bianca, il successo politico dell’intera strategia dipenderà anche dalla capacità di gestire la percezione pubblica sull’andamento dell’economia.
I dati pubblicati negli ultimi giorni rafforzano il quadro di un’economia in rallentamento. Da aprile, con l’introduzione dei nuovi dazi, si sono persi oltre trentasettemila posti nel settore manifatturiero, contraddicendo la narrativa di una rinascita industriale. I nuovi occupati sono stati appena settantatremila a luglio, quattordicimila a giugno e diciannovemila a maggio, per un totale molto inferiore alle stime iniziali. Nel 2024, la media era di 168.000 nuovi posti al mese. L’inflazione è salita dal 2,2% di aprile al 2,6% di giugno, colpendo soprattutto beni importati come elettrodomestici, mobili e giochi. Anche il prodotto interno lordo ha rallentato: nel primo semestre dell’anno la crescita è stata inferiore all’1,3%, contro il 2,8% registrato nel 2024.
Trump, di fronte a questi numeri, ha rilanciato gli attacchi alla Federal Reserve, chiedendo un taglio dei tassi di interesse, anche se questo potrebbe alimentare ulteriormente l’inflazione. Ha elogiato due governatori della Fed, Christopher Waller e Michelle Bowman, che hanno votato a favore di una riduzione, ma entrambi hanno motivato la scelta con la debolezza del mercato del lavoro, non con la necessità di stimolare il settore immobiliare, come invece auspicato dal presidente. Intanto, anche la politica tariffaria continua a cambiare: gli aumenti annunciati a inizio agosto sostituiscono quelli di aprile, che avevano causato una reazione negativa dei mercati. Non è chiaro se si tratti di un’aggiustamento temporaneo o dell’inizio di una nuova fase della strategia.
Già lo scorso dicembre, il presidente uscente Joe Biden aveva avvertito dei rischi connessi a questa impostazione. In un discorso alla Brookings Institution, aveva criticato l’idea di introdurre dazi generalizzati su tutte le importazioni, definendola un errore. “Trump sembra convinto che a pagare il prezzo dei dazi saranno i Paesi stranieri, ma in realtà saranno i consumatori americani”, aveva dichiarato.
Ora che gli effetti delle scelte economiche cominciano a farsi sentire, il presidente si trova davanti a una realtà più difficile del previsto. La sua scommessa è che i costi a breve termine verranno compensati da benefici futuri. Ma con la crescita che rallenta, l’inflazione in aumento e il mercato del lavoro in difficoltà, la fiducia dell’opinione pubblica potrebbe rivelarsi il vero nodo della sua presidenza.