Columbia University: si dimette la presidente ad interim Katrina Armstrong
Armstrong lascia l'incarico dopo le pressioni dell'amministrazione Trump sull'ateneo. Al centro dello scontro, le proteste pro-palestinesi e la sospensione di 400 milioni di dollari in finanziamenti federali.
La Columbia University si trova nuovamente al centro di una crisi istituzionale. Katrina Armstrong ha annunciato le proprie dimissioni dalla carica di presidente ad interim dell’ateneo, nel pieno di un acceso confronto con l’amministrazione Trump. Armstrong, medico di formazione, tornerà ora a dirigere l’Irving Medical Center della stessa università. A sostituirla temporaneamente sarà Claire Shipman, co-presidente del consiglio di amministrazione della Columbia, nominata presidente facente funzione.
Si tratta del secondo cambio di vertice in soli sette mesi. Armstrong era stata chiamata a guidare l’università dopo le dimissioni di Minouche Shafik, travolta dalle polemiche sulla gestione delle proteste pro-palestinesi che avevano investito numerosi campus statunitensi nel corso del 2024. La sua missione era riportare stabilità in un’istituzione prestigiosa ma profondamente segnata da tensioni interne ed esterne. Al contrario, Armstrong si è ritrovata al centro di una crescente pressione politica da parte dell’amministrazione Trump, che ha assunto una posizione particolarmente critica nei confronti della Columbia.
Negli ultimi mesi, l’esecutivo ha avviato un’offensiva contro quella che definisce "ideologia di sinistra" dominante nei campus d’élite, con la Columbia come obiettivo principale. All'inizio di marzo, il governo ha revocato 400 milioni di dollari in sovvenzioni e contratti federali, citando timori legati all’antisemitismo all'interno dell’università. Una misura che ha avuto un impatto rilevante, considerando che – secondo quanto dichiarato dalla stessa Armstrong in un incontro con i docenti – l’ateneo riceve ogni anno oltre un miliardo di dollari in fondi federali.
Il taglio dei finanziamenti è stato accompagnato da una lista di richieste che l’università deve soddisfare come condizione preliminare per avviare nuovi colloqui con l’amministrazione. In risposta, la Columbia ha raggiunto un’intesa con il governo che prevede, tra le altre misure, restrizioni sull’uso di maschere durante le manifestazioni, un ampliamento dei poteri per la polizia del campus e la nomina di un vice-rettore senior con ampia autorità per supervisionare il dipartimento di Studi sul Medio Oriente, Asia Meridionale e Africa.
Tuttavia, l'accordo ha suscitato preoccupazioni all'interno della comunità accademica. Nel fine settimana, Armstrong ha incontrato a porte chiuse numerosi docenti, alcuni dei quali hanno sollevato dubbi sulla trasparenza con cui l’intesa era stata presentata: da un lato un messaggio rassicurante alla comunità universitaria, dall’altro un impegno ben più stringente verso il governo. Di fronte a tali critiche, l’amministrazione Trump ha esercitato ulteriori pressioni affinché la presidente chiarisse pubblicamente la propria posizione. Martedì Armstrong ha quindi diffuso una dichiarazione confermando il pieno impegno dell’università verso i termini dell’accordo.
Le dimissioni sono arrivate pochi giorni dopo. Venerdì, la task force per combattere l’antisemitismo voluta dall’amministrazione ha accolto positivamente la decisione: “L’azione intrapresa oggi dai fiduciari della Columbia, specialmente alla luce delle preoccupanti rivelazioni di questa settimana, è un passo importante verso l’avanzamento dei negoziati come stabilito nell’intesa precondizionale raggiunta venerdì scorso”.
La posizione dell’università resta comunque delicata. L’intesa siglata non garantisce il ripristino dei 400 milioni di dollari precedentemente tagliati, e la Columbia continua a dipendere in modo significativo dai finanziamenti federali per sostenere le proprie attività di ricerca e didattica. In questo contesto, le dimissioni di Armstrong sembrano rappresentare sia un segnale alle autorità federali, sia un tentativo del consiglio di amministrazione di rilanciare i negoziati in una fase particolarmente critica.
David J. Greenwald, presidente del consiglio, ha ringraziato Armstrong per il suo lavoro: “La dottoressa Armstrong ha accettato il ruolo di presidente ad interim in un momento di grande incertezza per l’università e ha lavorato instancabilmente per promuovere gli interessi della nostra comunità”. Ma la crisi non appare conclusa, e il futuro della Columbia resta legato non solo alla scelta del prossimo presidente, ma anche alla sua capacità di navigare le complesse relazioni con un’amministrazione che continua a esercitare una pressione politica senza precedenti sul mondo accademico americano.