Armenia e Azerbaigian firmano la pace alla Casa Bianca sotto la regia di Trump

L’intesa prevede l’apertura di relazioni diplomatiche e commerciali e la costruzione di una “Route Trump” di transito strategico nel Caucaso meridionale, affidata per 99 anni a imprese statunitensi

Armenia e Azerbaigian firmano la pace alla Casa Bianca sotto la regia di Trump
White House

Alla Casa Bianca, l’8 agosto, Armenia e Azerbaigian hanno firmato una dichiarazione congiunta che sancisce la fine di decenni di conflitto, alla presenza del presidente americano Donald Trump. Il presidente azerbaigiano Ilham Aliev e il primo ministro armeno Nikol Pachinian hanno affermato che l’accordo impegna i due Paesi a cessare definitivamente ogni ostilità, avviare relazioni commerciali e diplomatiche e rispettare la sovranità e l’integrità territoriale reciproche.

Aliev ha definito la giornata “storica” e ha ringraziato Trump per aver revocato le restrizioni alla cooperazione militare tra Baku e Washington. Pachinian ha parlato di un’intesa che “apre la via per mettere fine a decenni di conflitto”. Trump, rivolgendosi ai due leader, ha dichiarato: “Se non andrete d’accordo, chiamatemi e sistemerò io la questione”.

Elemento centrale dell’accordo è la creazione di una zona di transito tra Azerbaigian e l’enclave del Nakhitchevan, passando per la provincia armena di Siounik. L’infrastruttura – ferroviaria, stradale, energetica e digitale – sarà chiamata “Route Trump per la pace e la prosperità internazionale” e avrà una lunghezza di 32 chilometri. Oltre a olio e gasdotti, il progetto includerà cavi in fibra ottica e sarà sviluppato, gestito e protetto per 99 anni da imprese private statunitensi, che avranno diritti di sviluppo nella regione.

Il corridoio consentirà un collegamento diretto tra Azerbaigian e Turchia, e quindi verso l’Asia centrale, ricca di idrocarburi. Secondo i promotori, offrirà benefici anche all’Armenia, migliorandone la connettività e i potenziali introiti, e potrebbe favorire la riapertura delle frontiere con Ankara e Baku, chiuse da quasi quarant’anni.

L’accordo non affronta in modo diretto la questione del Nagorno-Karabakh, regione riconosciuta internazionalmente come parte dell’Azerbaigian ma controllata per trent’anni da separatisti armeni dopo la guerra seguita alla dissoluzione dell’URSS. Baku ha riconquistato la zona in due fasi: parzialmente nell’autunno 2020 e completamente con un’offensiva nel settembre 2023, che ha provocato l’esodo di oltre 100.000 armeni.

In marzo le parti avevano raggiunto un’intesa preliminare su un trattato di pace, ma Baku ha posto come condizione la modifica della Costituzione armena per eliminare ogni rivendicazione sul Karabakh. Pachinian ha annunciato un referendum costituzionale per il 2027, mentre in Armenia il trauma della perdita resta divisivo.

Il progetto infrastrutturale, sostenuto dagli Stati Uniti, è maturato in una fase di indebolimento dell’influenza russa e iraniana nel Caucaso meridionale. Ente mediatore tradizionale, Mosca ha perso peso a causa della guerra in Ucraina, mentre Teheran è uscita provata dal conflitto di dodici giorni con Israele. Secondo il ricercatore Bayram Balci del Ceri Sciences Po, Armenia e Azerbaigian condividono oggi un interesse comune a ridurre le ingerenze russa e iraniana.

Le relazioni tra Erevan e Mosca si sono raffreddate sotto Pachinian, con l’Armenia che ha preso le distanze dall’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva e ha intensificato i rapporti con Stati Uniti e Unione europea. Anche i rapporti tra Baku e il Cremlino si sono deteriorati, aggravati da episodi come i raid della polizia russa contro la diaspora azera a Ekaterinburg e il mancato chiarimento dell’incidente aereo del volo 8243 nel 2024. Aliev ha persino fornito gas all’Ucraina e incoraggiato Kiev a resistere all’“occupazione” russa.

Turchia e Francia hanno salutato positivamente l’accordo. Ankara ha parlato di “progressi verso una pace duratura” e Parigi di “avanzata determinante”. Iran e Russia, invece, guardano con sospetto alla presenza americana nella regione di Siounik, vicina al confine iraniano. Teheran teme una riduzione dei traffici commerciali con Erevan, mentre il ministero degli esteri russo accusa l’Occidente di voler “distorcere” il processo di pace a proprio vantaggio.

Durante la cerimonia, Aliev e Pachinian hanno proposto di candidare Trump al premio Nobel per la pace. Trump, che in passato ha più volte rivendicato il merito di mediazioni internazionali, ha accolto favorevolmente l’idea. Le candidature per il 2025 sono già chiuse, ma Israele, Pakistan e Cambogia hanno recentemente annunciato il proprio sostegno a una futura candidatura del presidente americano.

L’intesa rappresenta un passo importante verso la normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Azerbaigian, ma lascia aperte questioni centrali come lo status costituzionale del Nagorno-Karabakh. Sul piano geopolitico, segna un deciso ingresso statunitense in un’area tradizionalmente sotto influenza russa, a pochi giorni dal vertice Trump-Putin previsto in Alaska.

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