Annullata la multa a Trump da 500 milioni di dollari per frodi finanziarie
Una corte d’appello di New York ha annullato l’ammenda civile inflitta nel 2024 al presidente e alla Trump Organization, giudicandola eccessiva. La condanna per frode resta valida, ma la pressione finanziaria sul clan Trump si alleggerisce.

Donald Trump ha ottenuto una vittoria significativa sul piano finanziario. Giovedì 21 agosto una corte d’appello dello Stato di New York ha annullato la multa di quasi 500 milioni di dollari che era stata inflitta nel 2024 al presidente e alla sua società, la Trump Organization, nell’ambito di un processo per frodi finanziarie. I giudici hanno ritenuto che la sanzione fosse «eccessiva» e in violazione dell’ottavo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che vieta pene sproporzionate.
La decisione non cancella però la condanna per frode. La corte ha confermato che Donald Trump e due dei suoi figli, Donald Jr e Eric, hanno manipolato il valore degli asset immobiliari del gruppo per ottenere condizioni più favorevoli da banche e compagnie di assicurazione. La linea difensiva, basata sull’argomento di errori contabili commessi in buona fede, non è stata accolta.
Trump ha reagito con entusiasmo sulla sua piattaforma Truth Social, parlando di «VITTORIA TOTALE» e di una «decisione perfetta». In un altro messaggio ha definito il procedimento una «caccia alle streghe politica», insistendo che «tutto quello che ho fatto era assolutamente CORRETTO, e persino PERFETTO».
La procura generale di New York, guidata da Letitia James, ha invece accolto la decisione con riserva. James, che aveva fatto di questo caso un tema centrale della sua campagna, ha sottolineato come la corte abbia comunque confermato la colpevolezza per frode del presidente e dei suoi figli. «Questo non dovrebbe essere dimenticato dalla storia: un altro tribunale ha stabilito che il presidente ha violato la legge», ha dichiarato, annunciando la volontà di ricorrere alla Corte d’appello federale «per proteggere i diritti e gli interessi dei newyorkesi».
La sentenza ha diviso i cinque magistrati chiamati a decidere. Due giudici hanno stabilito che la condanna era fondata, ma che l’ammenda di quasi mezzo miliardo di dollari violava l’ottavo emendamento. Un terzo si è espresso per l’annullamento totale delle accuse, ritenendo che la procura non avesse competenza. Gli ultimi due hanno riconosciuto l’autorità di Letitia James, ma giudicato viziato il primo processo, spingendo per un nuovo procedimento. Alla fine, per evitare lo stallo, hanno scelto di unirsi alla maggioranza, confermando la colpevolezza e annullando la multa.
La posta in gioco era enorme. Dopo la sentenza del 2024, gli avvocati di Trump avevano avvertito che il presidente non disponeva delle liquidità necessarie per pagare la somma. Per farlo, avrebbe dovuto vendere alcune delle sue proprietà simbolo, tra cui grattacieli, golf club e hotel di lusso. L’annullamento dell’ammenda riduce quindi in maniera drastica la pressione finanziaria sul clan.
Il caso trae origine dalle dichiarazioni di Michael Cohen, ex avvocato personale di Trump, che nel 2019 davanti al Congresso aveva affermato che il miliardario gonfiava artificiosamente il valore dei suoi beni, come il triplex di Manhattan, per ottenere vantaggi bancari e assicurativi. Le indagini avevano portato a un processo civile durato da ottobre 2023 a inizio 2024, durante il quale oltre 40 testimoni erano stati ascoltati.
In aula Trump aveva trasformato il dibattimento in una tribuna politica. Aveva attaccato ripetutamente la procura e i giudici, accusandoli di agire per conto dei democratici e definendo il procedimento «degno di una repubblica delle banane». Per i suoi eccessi era stato richiamato all’ordine dal giudice Arthur Engoron e condannato a pagare ulteriori piccole ammende.
Dopo la decisione della corte d’appello, le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Donald Trump Jr ha esultato su X parlando di «caccia alle streghe» e di «parodia della giustizia». Peter Navarro, consigliere per il commercio del presidente, è andato oltre, sostenendo che la procura generale «dovrebbe essere in prigione» e accusando i democratici di avere «sopravvalutato il loro colpo» nel tentativo di colpire Trump.
Il verdetto non chiude definitivamente la vicenda. La procura di New York ha confermato la volontà di impugnare la decisione e di portare il caso davanti al livello successivo della giustizia americana. Intanto, per il presidente, la decisione di giovedì rappresenta un sostanziale sollievo finanziario e un argomento politico da rivendicare come dimostrazione della correttezza del suo operato.
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