Albanese vince le elezioni in Australia, grazie alla guerra commerciale scatenata da Trump
Il primo ministro laburista completa una clamorosa rimonta grazie al malcontento popolare per i dazi del presidente americano. È il secondo caso in pochi giorni di una rimonta del genere dopo il Canada.

Il primo ministro laburista Anthony Albanese è stato riconfermato per un secondo mandato alle elezioni federali australiane, un risultato largamente inatteso fino a poche settimane fa. Secondo l’Australian Broadcasting Corporation, la vittoria del leader del Partito Laburista arriva al termine di una rimonta straordinaria: solo due mesi or sono, Albanese era in netto svantaggio nei sondaggi.
La spinta decisiva è arrivata dalla reazione degli elettori ai dazi imposti dal presidente Trump sui prodotti australiani: un 25 % su alluminio e acciaio, seguito dal 10 % su tutte le altre esportazioni verso gli Stati Uniti. Queste misure hanno convogliato un’ondata di malumore verso l’Amministrazione americana e, di riflesso, verso il fronte conservatore guidato da Peter Dutton, percepito come allineato alle politiche del presidente statunitense.
Il crollo di Dutton
La coalizione conservatrice di Dutton, composta dal Partito Liberale e dal Partito Nazionale, ha così subito un tracollo inatteso. Lo stesso Dutton ha persino perso la rielezione per il suo seggio che si trova nel nord di Brisbane. L’ex poliziotto aveva impostato la sua campagna su una forte guerra culturale in stile “woke-busting”, criticando i programmi di diversità nelle scuole e proponendo perfino un’analoga australiana del Servizio DOGE americano.
”Un fattore che possiamo tutti riconoscere è il fattore Trump”, ha dichiarato il senatore liberale James Paterson all’Australian Broadcasting Corporation non appena i risultati hanno iniziato ad arrivare. ”È stato devastante in Canada per i Conservatori… e penso che sia stato un fattore anche qui”.
Il triangolo strategico
La contesa elettorale in Australia ha effettivamente richiamato dinamiche simili a quelle osservate in Canada la scorsa settimana, quando il governo di centro‑sinistra ha sfruttato l’ondata anti‑Trump per assicurarsi la vittoria. Anche in Australia, gli elettori hanno premiato l’equilibrio di Albanese, che ha definito i dazi come “non l’atto di un Paese amico”, pur evitando rotture aperte con Washington.
Sia Albanese sia Dutton hanno confermato in campagna elettorale l’impegno nell’alleanza di sicurezza con gli Stati Uniti, inclusa la volontà di rispettare gli accordi per l’acquisto di sottomarini nucleari volti a contenere l’ascesa militare cinese. Tuttavia, la Cina resta ad oggi il primo partner commerciale di Canberra, anche mentre l’Australia continuare a rafforzare i suoi legami militari con gli Stati Uniti.
”La sfida più grande per il prossimo governo è gestire il triangolo strategico tra Washington, Pechino e Canberra”, ha spiegato al Washington Post Michael Fullilove, direttore esecutivo del Lowy Institute. ”Gli Stati Uniti sono il nostro grande alleato per la sicurezza e la Cina è il nostro partner economico più importante – e attualmente sono ai ferri corti”.
Un approccio pacato premiato dagli elettori
La vittoria di Albanese segna un’inversione di tendenza rispetto a sei mesi fa, quando il primo ministro era sotto pressione dopo la clamorosa sconfitta al referendum costituzionale di ottobre 2023 per la creazione di un organo consultivo indigeno in Parlamento.
Secondo Sean Kelly del Sydney Morning Herald, gli elettori si sono mostrati “stanchi dei conflitti” e hanno premiato la “monotonia” del leader laburista, reputata come “una merce piuttosto attraente” in un contesto di incertezza globale.
Nei giorni precedenti il voto, i sondaggi avevano mostrato un vantaggio costante per Albanese tra il 3 % e il 5 %. Alla vigilia delle elezioni, il primo ministro si è spinto fino a fare campagna direttamente nel collegio di Dutton, dimostrando una fiducia inattesa nella vittoria per un politico spesso considerato come “noioso“.
In ogni caso, la conferma di Albanese testimonia come la guerra commerciale lanciata dal presidente Trump abbia inciso profondamente sul clima politico internazionale, spostando gli equilibri anche a migliaia di chilometri da Washington.