Ad importanti esponenti dell'FBI è stato chiesto di dimettersi o saranno licenziati
L’amministrazione Trump prepara un cambio radicale all'interno dell'FBI, mentre Kash Patel, candidato alla sua direzione, si difende al Congresso dalle accuse di “epurazioni”.
Terremoto all'FBI. Secondo fonti vicine all’agenzia, che ne hanno parlato al New York Times, alcuni agenti promossi in ruoli di primo piano durante il mandato dell’ex direttore Christopher A. Wray si sono visti recapitare dalla nuova dirigenza un aut-aut inequivocabile: rassegnare le dimissioni nell’arco di pochi giorni o essere sollevati dall’incarico.
I segnali di un riassetto istituzionale deciso dall'alto erano già presenti prima di questo, complici le analoghe epurazioni all’interno del Dipartimento di Giustizia, dove diversi procuratori di lunga data – alcuni dei quali avevano lavorato su indagini riguardanti lo stesso presidente Trump – sono stati sollevati dai loro ruoli o riassegnati a posizioni marginali.
Anche all’FBI alcuni dei funzionari coinvolti nelle inchieste più spinose sull’amministrazione Trump – dall’interferenza russa nelle elezioni del 2016 alla gestione dei documenti riservati – si sono, infatti, ritrovati improvvisamente in procinto di dover lasciare il proprio posto di lavoro.
I provvedimenti hanno colto di sorpresa anche chi pensava di avere più tempo per favorire una transizione ordinata, ma evidentemente il nuovo corso voluto dal presidente Trump è deciso a spazzare via in fretta e furia i vertici precedenti.
Tra questi spicca un agente che aveva coordinato un team su casi molto delicati, oltre al direttore della filiale di Washington, la seconda più importante dell’Agenzia, che aveva in programma di rimanere ancora al suo posto per favorire la transizione alla nuova dirigenza ma è stato costretto a ritirarsi con effetto immediato.
L’atmosfera di forte incertezza si è aggravata quando uno degli agenti coinvolti in questa epurazione ha inviato un’e-mail ai colleghi, spiegando di aver appreso che sarebbe stato allontanato “senza alcuna motivazione formale” già dal lunedì successivo.
A rassicurare (almeno sulla carta) ci ha provato Kash Patel, il candidato scelto dall’Amministrazione Trump per assumere la direzione dell’FBI. Patel, convocato davanti ad una Commissione del Senato per la conferma, si è impegnato a non avviare campagne di “resa dei conti” contro i suoi potenziali avversari.
Allo stesso tempo, però, in più occasioni ha lasciato intendere di voler cambiare radicalmente il volto dell’FBI, al punto da dichiarare di voler trasformare l’edificio principale dell’agenzia in un museo.
La rapidità di queste manovre sorprende anche perché Patel non è ancora formalmente insediato: in attesa del voto del Senato, la guida provvisoria dell’FBI è, infatti, nelle mani del direttore ad interim Brian Driscoll.
Nel corso della sua audizione, Patel ha dichiarato, comunque, di non essere a conoscenza di qualsivoglia “lista nera” nei confronti di agenti che hanno indagato su Trump.
Le parole del senatore democratico Cory Booker, che lo ha messo sotto pressione su eventuali piani di “punizione” nei confronti del personale considerato ostile, hanno però ulteriormente alimentato i timori interni all’FBI.
Pur ribadendo la sua estraneità alle manovre decise dal Dipartimento di Giustizia, Patel non ha dissipato (o voluto dissipare) completamente i sospetti su un disegno più ampio per epurare l’agenzia.
A oggi, la conseguenza diretta di questi provvedimenti è un clima di sfiducia che diventa sempre più forte tra i ranghi più alti dell’FBI, dove in molti temono ulteriori interventi drastici una volta che Patel sarà ufficialmente confermato prossimo direttore dell'FBI dal Senato.
Per ora, comunque, l’unica certezza è che l’ondata di cambiamenti voluta dal presidente Trump non sembra destinata a fermarsi, mettendo in gioco anche equilibri e carriere finora considerati intoccabili all'interno dell'FBI.